Articolo pubblicato sulla rivista Natura Docet, n. 4 Maggio 2019, pp. 44-47.
A cura di Sara Sitzia, Laureata in Filosofia e Storia delle idee, Master in Counseling Filosofico.
«Il discorso è filosofico solo se si trasforma in modo di vita» (Hadot, 1998, p.167).
Nel maggio del 1981, Gerd Böttcher Achenbach, concluso il dottorato in filosofia, apre il primo studio di pratica e consulenza filosofica, l’Institut für Philosophische Praxis und Beratung. Achenbach, nel corso dei suoi studi accademici, maturò la convinzione che la filosofia aveva subito un progressivo allontanamento dalla vita degli individui venendo via via sempre più relegata a mera disciplina speculativa delle accademie perdendo così la sua autentica e primaria funzione pratica.
Il suo studio professionale rappresenta il primo tentativo di ripristinare l’intimo legame con la vita ponendo il dialogo filosofico al servizio dei problemi che affliggono le persone. Nel riportare il pensare filosofico al suo antico ruolo pratico, di fatto Achenbach diede forma a una pratica professionale nuova, in cui le competenze filosofiche diventavano il perno fondamentale per dare aiuto alle persone.
L’anno successivo fondò a Bergisch Gladbach la Gesellschäft für Philosophische Praxis, la prima associazione per sviluppare e diffondere la pratica filosofica.
Dalla metà degli anni Ottanta il movimento di Achenbach si espanse oltre i confini tedeschi raggiungendo Paesi Bassi, Norvegia, Austria, Svizzera, Francia, Inghilterra, Israele, America. In particolare, le tappe principali, per una breve ricostruzione storica della diffusione della Philosophische Praxis, sono queste.
L’Olanda fu uno dei primi Paesi in cui si diffuse, trovando terreno favorevole tra un nucleo di ex-studenti laureati in filosofia che già negli anni Settanta aveva mosso all’impostazione accademica critiche molto simili a quelle espresse un decennio più tardi da Achenbach. Nacque l’Associazione di pratica filosofica olandese (VFP) dedita allo studio delle problematiche relative alla formazione nell’ambito della consulenza filosofica. In Olanda molto attivo fu anche Ad Hoogendijk, collega di Achenbach, il quale diede importanti contributi come consulente filosofico anche nell’ambito della Philosophy of Management e in particolar modo della Business Ethic.
In Francia, Marc Sautet, considerato il primo consulente filosofico francese, ideò una pratica filosofica nota come Cafè-Philo, ovvero discussioni filosofiche pubbliche, da lui iniziate presso il Café des Phares di Parigi, con l’obiettivo di portare in spazi pubblici, lontani dalle cattedre universitarie, temi su cui discorrere filosoficamente anche con i non-filosofi. Il Cafè-Philo ebbe larga diffusione in tutto il mondo e ancora oggi è una pratica che viene molto apprezzata dal pubblico di non-filosofi.
Un destino simile alla pratica del Cafè-Philo, in termini di diffusione e apprezzamento, fu la Philosophy for Children pratica ideata da Mattew Lipman negli anni Settanta e confluita successivamente all’interno delle pratiche filosofiche. Mattew Lipman, professore di Logica alla Columbia University e di formazione deweyana, profondamente interessato a problematiche pedagogiche, era fortemente persuaso dell’importanza che l’apertura alla dimensione filosofica dell’esperienza riveste nel percorso di crescita e formazione nelle persone. Egli diede avvio a un progetto rivoluzionario, volto a sviluppare il pensiero complesso (critico, creativo, valoriale) nelle classi scolastiche, con il fine educativo non solo di migliorare le abilità cognitive, ma anche di combattere i pre-giudizi e i comportamenti irrazionali. Lipman fondò l’Institute for the Advancement of Philosophy for Children, e il metodo da lui strutturato – noto oggi con l’acronimo P4C (Philosophy for Children), confluì in modo molto naturale nel mondo delle pratiche filosofiche dove oggi trova larga diffusione come metodologia di gruppo declinata anche per adulti (Philosophy for Community). L’Italia è tra i Paesi più attivi con i laboratori di P4C e i centri di ricerca ad essi dedicati (CRIF – Centro di Ricerca dell’Indagine Filosofica fondato da Antonio Cosentino e il Master Universitario di Padova diretto dalla Prof.ssa Marina Santi).
In Israele, Shlomit Schuster dopo gli studi filosofici universitari e sotto la guida e formazione di Ad Hoogendijk, fondò il Center Sofon. Il suo testo Philosophy Practice: An Alternative to Counseling and Psychotherapy (1999) è ancora oggi un testo di rilievo per chi vuole approfondire la pratica filosofica. L’operato della Schuster ebbe molta risonanza nell’israeliano Ran Lahav, il quale contribuì notevolmente alla diffusione della pratica filosofica negli Stati Uniti, dove aveva condotto i suoi studi di dottorato in psicologia filosofica e lavorato per diversi anni nel Dipartimento di Filosofia della Southern Methodist University di Dallas. Ran Lahav è ancor oggi uno dei filosofi più impegnati e più accreditati nel dibattito internazionale sulle pratiche filosofiche, poiché ha sviluppato una proficua riflessione sui fondamenti teorici e metodologici della Philosophische Praxis. A lui, e al filosofo canadese Lou Marinoff, altro importante esponente e divulgatore della pratica filosofica, si deve – nel 1994 – l’organizzazione a Vancouver della prima Conferenza Internazionale sulla Consulenza filosofica, un convegno di fondamentale importanza per la spinta propulsiva che diede alla nascita di associazioni e organizzazioni di pratica filosofica in tutto il mondo, tra cui Sudamerica, Spagna, Portogallo e Italia.
Nel nostro Paese, infatti, gli stimoli del movimento di pratiche filosofiche trovarono una prima forma nel 1999 con l’AICF (Associazione Italiana di Counseling Filosofico), da cui successivamente si costituirono via via nuove associazioni e organizzazioni strutturandosi in Master e scuole specializzati nella formazione professionale del counselor o consulente filosofico. Se è vero che – come ricorda il filosofo e consulente filosofico canadese Peter B. Raabe (2006, p. 89) «la legittimità di una nuova professione viene spesso considerata direttamente proporzionale al suo grado di separazione e differenziazione dalle pratiche del suo settore [e] il caso della consulenza filosofica non fa eccezione» – è altrettanto vero che l’annosa questione della definizione di questa nuova professione è un fatto soprattutto italiano, legato molto di più di quanto non sembri, alla difficoltà di trovare nella nostra lingua termini adeguati che esprimano semanticamente il concetto di Philosophische Praxis e ne mettano in luce la propria peculiarità rispetto alle altre professioni d’aiuto. In effetti, all’estero la Philosophische Praxis è stata declinata, senza cadere in fraintendimenti, sia come Philosophy Practice sia come Philosophical Counseling, mentre in Italia la frattura all’interno della AICF (2003) si ebbe proprio in nome della distinzione profondamente sentita tra consulenza filosofica e counseling filosofico. Di rimando, questa rottura fu apparente nel senso che non inficiò la reale sostanza dell’attività professionale svolta, in quanto il vero marcatore era ed è tutt’oggi l’aggettivo “filosofico” che per entrambi racchiude tutto il campo semantico che la Philosophische Praxis esprime. Inoltre, grazie agli sviluppi e al consolidamento di metodologie prettamente filosofiche (come ad esempio, oltre i già citati Cafè-Philo e P4C, il Dialogo Socratico ideato da Leonard Nelson) si utilizza ampiamente anche l’espressione più generica di “Pratiche Filosofiche” per comprendere tutte le declinazioni e le sfumature che rientrano nell’esercizio della Philosophische Praxis.
Ma cosa esprime appunto la Philosophische Praxis?
Per i filosofi antichi, la filosofia non era affatto mera riflessione teorica, ma stile di vita inteso come un “saper vivere”. E proprio in questo concetto è racchiuso il profondo carattere pratico della filosofia, poiché nella filosofia antica il saper-vivere ha una specifica accezione pratico-morale: sapere orientare il proprio agire per dare buona forma alla propria esistenza. Pertanto l’intenzione profonda del filosofo è, per usare le parole di Pierre Hadot, quella di «formare, vale a dire di insegnare un saper fare, di sviluppare un habitus, una capacità nuova di giudicare e di criticare, e di trasformare, ossia cambiare il modo di vivere e di vedere il mondo» (1998, pp. 262-263). Si comprende quindi anche il senso e l’importanza degli esercizi spirituali praticati nel mondo antico (la meditazione, la disciplina dei desideri, l’esame di coscienza, un equilibrato regime alimentare) finalizzati a operare una trasformazione di sé.
Chi si occupa oggi di pratiche filosofiche vuole rimanere fedele a questa concezione (antica) di filosofia, concezione che, nel suo riproporsi oggi, non può che essere nutrita anche dalle correnti filosofiche del Novecento che hanno posto teoreticamente la questione esistenziale del qui ed ora (hic et nunc). Pensare la vita non è ancora un atto filosofico, poiché per esserlo il pensiero deve “incarnarsi” nella vita di ognuno e questo vuol dire – in termini arendtiani – imparare a pensare a partire da sé, dalla propria situazione esistenziale presente, giacché «vivere realmente significa realizzare questo presente […] e fare in modo che non si scinda in passato e futuro» (Arendt, 2007, p.14).
Ciò richiede esercizio, dunque, perché ciò che è abituale e in qualche modo automatico, è piuttosto il parlare di sé, senza allenare quella capacità critico-riflessiva che permette di porci autenticamente verso noi stessi, ossia svelando, innanzitutto a noi stessi, il proprio modus vivendi.
D’altra parte, è spesso nel momento in cui si avverte una crisi nella propria vita che la necessità di un tale esercizio diventa urgente, poiché interrompe o fa vacillare la ripetitività abitudinaria che caratterizza la nostra quotidianità, dando voce a domande di senso che in fondo rivelano, come «ciò che è in crisi è quel misterioso nesso che unisce il nostro essere con la realtà, talmente profondo e fondamentale da essere nostro sostento» (Zambrano, 1996, p. 84).
Il delicato percorso di ri-costruzione del nostro habitus, espressione del modo di pensare e agire consolidato e attuato in maniera irriflessa è l’atto filosofico principale praticato dai professionisti delle pratiche filosofiche: aiutare la persona a non limitarsi a parlare di sé ma a ri-pensare la propria esperienza operando quel distanziamento che permette di portare alla luce la sua peculiare visione del mondo (Lahav, 2004), cogliendone le premesse implicite, i valori di riferimento, e ricollocando all’interno di essa ciò che avverte come critico e problematico.
Lo strumento di lavoro è il dialogo, inteso nell’uso peculiare che ne ha fatto Socrate come strumento di ricerca filosofica e come tale in grado di creare uno spazio d’incontro con l’interlocutore in cui si chiarificano i significati, si chiede di rendere ragione di quanto si afferma e si pensa, dipanando la fitta rete di abitudini cognitive ed emotive con le quali ognuno interpreta la quotidianità.
Laddove il consultante si apre a una dimensione filosofica del proprio vivere, il suo qui ed ora si palesa come un presente non più fisso e a cui si è inchiodati – proprio come le situazioni-limite ci ricordano – ma un presente dinamico in cui si aprono archi di possibilità non indagate prima, nuove prospettive di senso. Tale apertura non costituisce solo il punto di partenza per un cambiamento, bensì è già essa stessa atto trasformativo di sé, poiché capace di creare nuovi valori per se stessi e nelle relazioni con gli altri, dando forma nuova all’esistenza.
Poiché è possibile adottare uno sguardo filosofico potenzialmente in ogni contesto, non stupisce che il professionista delle pratiche filosofiche trovi posto in ambiti differenti: scolastico, sanitario, aziendale e relativo al mondo delle organizzazioni, oltre naturalmente a tutti i contesti particolarmente sensibili alle pratiche legate all’aver cura di sé.
A 38 anni dalla “nascita” della Philosophische Praxis, seppur ancora timidamente, si fa strada, nella compagine attuale delle relazioni d’aiuto, questa nuova professione dando il suo peculiare contributo alla crescita della persona.
Se “in principio” il saper-vivere-bene conduceva all’eudaimonìa (la felicità), oggi la pratica filosofica invita a un percorso di consapevolezza che chiede di essere soggetti attivi di una vita pensata in vista del raggiungimento di un autentico ben-Essere.
bibliografia citata
Arendt H., Denktagebuch. 1950 bis 1973, 2 B.de, hrsg. von I Ursula Ludz, Ingeborg Nordmann Piper, München-Zürich 2002, tr.. it. a cura di C. Maranzia, Neri pozza, Vicenza 2007
Hadot P. Qu’est-ce que la philosophie antique?, Éditions Gallimard, Paris 1995; tr. it a cura di E. Giovanelli, Einaudi, Torino 1998
Lahav R., Comprendere la vita. La consulenza filosofica come ricerca della saggezza, tr. it. a cura di F. Cirri, Apogeo, Milano 2004
Raabe P., Philosophical counseling: theory and practice, Praeger, Westport (Connecticut)/London 2001; tr. it. a cura di N. Pollastri, Apogeo, Milano 2006
Schuster S., Philosophy Practice: An Alternative to Counseling and Psychotherapy; tr. It. A cura di F. Cirri, Apogeo 2006
Zambrano M., Hacia un saber sobre el alma, Fundación Maria Zambrano 1991; tr. it. a cura di Eliana Nobili, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996